“La Grandezza dell’Ora”, la nuova graphic novel di Red Naima, è finalmente disponibile su Amazon!
Il nuovo capitolo della serie a fumetti “Vince Chi Dimentica” è anche una storia autoconclusiva che si lascia leggere autonomamente. Una storia di amicizia, ribellione, passione, sport.
Soprattutto, la storia della forza inarrestabile che a volte sembra averci abbandonato, ma si risveglia nel ricordo di quel che si è stati. E si attualizza nel presente.
Qui sotto l’autrice ci parla di questo lavoro:
“La strada è lunga da qui a Orvieto, ci sarà tempo per raccontare.” La matrice della serie Vince Chi Dimentica, di cui La Grandezza dell’Ora rappresenta il terzo episodio, è sempre questa; un racconto strappato alla memoria di chi può vincere solo dimenticando. Oppure, come in questo caso, il motore dell’azione è l’esigenza di raccontare cosa si è stato, per ricordare chi si è. Al di là delle circostanze.
E’ innegabile che questo è un momento storico in cui le voci delle donne e dei gruppi finora oppressi finalmente riescono a prendere parola e dire la loro rispetto a una storia finora monoculare. Per quanto mi riguarda, ho voluto soffermarmi sul rapporto tra individualità femminile e sport durante il ventennio fascista. La fonte di inspirazione è stata l’esperienza di mia nonna Claudia, insegnante di educazione fisica formatasi all’Accademia di Educazione Fisica Femminile di Orvieto. E’ stata questa fortissima suggestione familiare a spingere ad aggiungere un tassello al mondo parallelo in cui vivono i personaggi di Vince Chi Dimentica.
Voglio accennare un po’ al contesto storico; nel 1932 nasce ad Orvieto l’Accademia Femminile Fascista di Educazione Fisica, con il compito di formare le future insegnanti di ginnastica. Il corso durava due anni e dava diritto all’insegnamento nelle scuole pubbliche e private. Al termine del triennio le diplomate erano proiettate immediatamente nel mondo del lavoro. Le materie di insegnamento erano varie e non prevedevano solo l’attività fisica. Erano previste lezioni di tirocinio di comando, danza, musica, pedagogia, lingue straniere, etc. Fiore all’occhiello dell’Italia fascista, la stampa si occupava spesso di quelle che erano chiamate le “orvietine”.
Curiosamente, nella figura della donna sportiva del ventennio e nel programma dell’Accademia di Orvieto, si realizza l’apogeo della donna fascista, e allo stesso tempo la contraddizione di questo modello. Il programma nazionale di educazione fisica viene infatti allargato alle donne al fine di formare “madri in buona salute”. Eppure inevitabilmente questo finisce per alimentare nelle donne forte senso di sé, consapevolezza della propria forza, e uno forte spirito di indipendenza. Alla faccia del patriarcato!
Questa graphic novel è incentrata su una donna che rappresenta questa contraddizione. Nel suo percorso di atleta è costante il conflitto tra vocazione, ambizione personale, aspettative della società e il rapporto con l’uomo amato. Nelle mie intenzioni forse un po’ troppo ambiziose, la storia di Italia è, anche un po’ la storia dell’Italia. Decisa a dimostrare il proprio valore, ribelle, infine riconosciuta e celebrata, per poi essere ancora vilpesa, ma poi riprendersi ancora. Un po’ come l’Aida di Rino Gaetano: “Aida, la costituente /La democrazia/ E chi ce l’ha/ E poi trent’anni di safari/ Fra antilopi e giaguari/Sciacalli e lapin.”
Non per niente la storia comincia con una data precisa, non indicata in una didascalia ma evocata, il 2 giugno 1946, la nascita della Repubblica Italiana. Comincia con Italia Rossetti schernita dallo stesso popolo che l’aveva celebrata pochi anni prima. La narrazione poi procede à rebours. Ritroviamo la nostra eroina a Sirento (l’immaginifica Sorrento parallela) in un altro periodo della sua vita. Il colore riappare e i tempi narrativi rallentano. Una singola ora si espande a dismisura.
La Grandezza dell’Ora è anche un esperimento sui tempi narrativi. C’è quello accelerato e compresso del racconto centrale di Italia in Accademia (mi ha sempre colpito il ritmo di “Cent’anni di Solitudine”, dove una miriade di eventi viene raccontata con una velocità e una bellezza fulminante), e poi quello lento e espanso di Italia e Alceo in barca. E poi il presente in bianco e nero, in attesa di una rinascita. Cosa si salva di un passato buio che l’Italia vuole dimenticare?
Prendiamo lo sport. Quando ho cominciato a concepire questo lavoro, ero immersa contemporaneamente in due libri. Uno era il testo di ricerca Accademiste a Orvieto. Donne ed educazione fisica nell’Italia fascista (1932-1943) a cura di L. Motti, M. Rossi Caponeri pubblicato da Quattroemme. Leggevo delle accademiste con crescente curiosità, e persino con una sorta di slancio verso quella vita ordinata e orientata ad un chiaro obiettivo. Nello sport è così. Ero affascinata dall’idea di una dimensione fisica che potesse solidificare un senso di sé e consacrarlo nella società, sebbene quella di allora era tutto tranne che clemente nei confronti delle donne.
L’altro libro che avevo in borsa e leggevo la mattina sui gradini di un basso a Castellammare del Golfo, era il classico Lo Zen e il Tiro con l’Arco di Eugen Herrigel. In questo testo lo scrittore tedesco racconta la sua esperienza con la filosofia zen, appresa attraverso il tiro con l’arco, proprio nello stesso periodo in cui le accademiste compivano le loro evoluzioni alla sbarra. Da praticante di arti marziali io stessa, ho avuto modo di sfiorare, non solo con la mente ma anche col corpo, i concetti di “tensione senza intenzione” e di vincere abbandonando la volontà di vittoria. Leggere invece del regime fascista che aveva fatto al contrario di “vincere” la parola d’ordine, e dell’eliminazione dei concetti di debolezza, indugio e dubbio la propria religione, mi ha creato interessanti collegamenti. Cosa voleva dire essere “presente” per i fascisti, cosa vuol dire essere “presenti” per i monaci zen? E in che modo il corpo si fa portavoce di queste due visioni del mondo? In questa graphic novel ho cercato di rappresentare queste domande nel personaggio di Nina.
La Grandezza dell’Ora è dunque concepita come una storia autoconclusiva, una storia di sport, amicizia, di cadute e riprese. Eva e Marcello sono presenti nella storia, e si aggiunge un ulteriore tassello alla macrostoria di Vince Chi Dimentica. Se Italia era un personaggio secondario in Eva proprio Lei (primo episodio della serie in ordine di realizzazione), qui diventa protagonista. Ha anche Italia ha infatti qualcosa da dire sul titolo della saga: “No, non è vero che vince chi dimentica. Vince chi ricorda. Quel che siamo stati è qualcosa che non potremo mai più perdere, l’unica cosa per sempre nostra.” Così, persino dal marciume dell’ideologia fascista, c’è qualcosa che si salva; lo spirito dell’individuo e di un gruppo di donne controcorrente, che si afferma e sovverte i dettami del regime dall’interno. E’ da queste ceneri che può nascere un nuovo mondo.
Nel personaggio della direttrice dell’Accademia, (la comandante Clelia Imperatori inspirata a Elisa Lombardi, la vera direttrice dell’Accademia della GIL) ho voluto rappresentare l’inevitabilità di cooperare con il fascismo per alcuni personaggi nati e cresciuti in quel contesto, e allo stesso tempo la possibilità di crearsi degli spazi di libertà in un regime totalitario.
Nel dopoguerra, e soprattutto nel Nord Italia, le accademiste verranno bollate come fasciste e avversate, nel naturale processo di rigetto del fascismo che ha avuto l’Italia uscendo dal conflitto mondiale. Ma le accademiste non sono mai state veramente fasciste. Sono state in primo luogo amazzoni. Delle donne vive nel corpo e nello spirito, diversissime tra di loro tanto nelle loro motivazioni, quanto nei loro desideri. Le Accademiste erano un piano del regime, certo, ma finirono per essere molto di più.
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